mercoledì 23 marzo 2011

E TI VENGO A CERCARE.

Una volta tanto tempo fa ti cercavo per trovare la mia essenza.
In essa mi perdevo e ritrovavo. Godevo.
Il mio circuito limbico, la parte più antica del nostro cervello, continua a proiettare la tua immagine svanita e svaghita nella mia cornea. Mi toglie il sonno, il ristoro, la pazienza.
Allora vengo da te. Nell'ora più buia della notte. Non esiste solo il tangibile.
Sono nella molla che accompagna il tuo cullarti.
Sono nel torpore che precede l'abbandono.
Sono in un bracciale che protegge le tue vene.
Sono nel pensiero che non puoi lasciar andare.
Mi tolgo il sonno, il ristoro e la pazienza, per venirti a cercare.
Nell'attimo in cui non potrai conservarne il ricordo, ma percepirne solo l'emozione.
Perchè il ricordo muta, evolve, contagia. L'emozione è immane ed immane.

“Questo sentimento popolare, nasce da meccaniche divine.
Un rapimento mistico e sensuale m'imprigiona a te.
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri”.


lunedì 7 marzo 2011

Io, moderna Penelope.

Faccio sempre lo stesso sogno.
La vicenda subisce lievi variazioni ma tutto sommato è sempre la stessa. Se nulla nei sogni è casuale e tutto è il riflesso dei processi inconsci della mente, la mia mente sta parecchio male. Freud avrebbe pane per i suoi denti. Sognare è faticoso in tutte e due le sue accezioni. L'ambivalenza di questo termine mi fa riflettere. Racchiude in se l'ambizione utopica che ognuno cela dentro di se, e l'abbandono più totale alla casualità del nostro pensiero. Affascinante e spaventoso allo stesso tempo. Un po' come me. Il mio sogno è di non fare più lo stesso sogno. Il problema è che questo sogno non nasce dalla fase REM. Quando gli occhi chiusi si muovono e si può anche piangere per immagini immaginate. Il mio sogno non è onirico. Lo costruisco ogni giorno, come un'isterica architetta iperperfezionista. Ogni giorno, gran parte delle mie energie si concentrano nell'impresa di creare un sogno, su misura per me. Ed ogni giorno come una moderna Penelope della psiche lo distruggo, per tornarci il giorno dopo. Combatto proci immaginari con la potenza del mio straniamento dal reale. Peccato che, i proci che combatto sono i miei sprazzi di lucidità.
Mi sto rintanando in un mondo inventato da me per me, per sfuggire ad una normale vita di frustrazioni. Ulisse ti prego torna dal tuo viaggio, tessere i miei sogni mi sta uccidendo.

mercoledì 2 marzo 2011

NON SPARIRE.

Sono tornata a casa. Con lo guardo di chi osserva ma non vede. Non vedo perchè se ci provassi seriamente vedrei un letto vuoto. Il mio letto vuoto. Che svuota anche me. Non mi piace dormire da sola. Non mi piace svegliarmi da sola. Allora, osservo ma non vedo. Non vedo lei accanto a lui. Non vedo il mio sguardo nello specchio. Non vedo le sue braccia nelle sue, in un letto celeste, giallo o forse blu. Il mio di letto è vuoto. Non mi piace svegliarmi da sola.
“Non sparire”, l'ultima frase che mi ha detto mi rimbomba nella testa.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”. Milioni di congetture affiorano nella mia testolina provata dagli eventi.
Da dove non devo sparire? Io sono qui. Ci sono sempre stata.
Quindi: io sono qui. Ciò presuppone che a meno che non sia diventata una super eroina con il superpotere dell'invisibilità, tu mi possa vedere. Tu mi puoi vedere? Vero? Ehi mi vedi? Mi senti? Sono qui.
Oddio non mi vedi, allora ho un superpotere. Figata, l'ho sempre voluto. Figata.
Nell'istante in cui realizzo di avere un superpotere, Gulia mi tocca. “ehi! Cuor ci sei?”.
-Cazzo non ho un superpotere. Sei solo tu a non vedermi.-
“Non sparire”. L'ha detto a voce alta, per realizzare che lo stava dicendo. Ma non lo ha detto a me. Lo ha detto a se. Alle sue note. Notti. Giorni. Ai suoi sogni, sonni. Incubi. Ecco da dove non devo sparire. Io non ho un fottuto super potere. Ora sono ancora più triste.
“Non Sparire arire, ireeeeeeeeeee”. Rimbomba nella testa. In effetti è un po' che sono a dieta, ma non voglio sparire. E va bene che corro senza guardare, per non vedere, ma non voglio sparire. E d'accordo a volte non parlo per non dire troppo, ma non voglio sparire. E mi riempo di risate, corse, momenti e sfuggo, per non essere li quando l'abbracci, ma non voglio sparire.
“Non sparire”. L'ha detto a me, per dirlo a se.
In un eterno presente fatto di presenze.
Domani arriva il futuro. E forse non ci sarò. Sai sono stanca del mio letto vuoto. Sono stanca, di guardare senza vedere. La vedo. Sono stanca dell'eterna presenza, eternamente inappagata. Allora forse, sai, stavolta sparirò. Domani sparirò. Domani chissà quando arriva.
Intanto “non sparire”.