venerdì 23 dicembre 2011

Scritto di (non)Amore.

SEX AND THE CITY-RIFLETTENDO.

E' l'amore giusto se ti logora fino a non provare più emozioni?

Carry potrebbe porsi una domanda del genere, poi banalmente rispondersi che è l'amore sbagliato, poi banalmente scivolare nelle lenzuola di un nuovo amore, senza troppi struggimenti.
Ma lei vive a New York city, è single fino al midollo, e, soprattutto, lei è un personaggio di fantasia.
Io sono vera, non scivolo nelle lenzuola facilmente, piuttosto mi corrodo fino a non sentire più, non vivo a New York city, anzi nel suo esatto anti-doto.
Mi rifiuto di sentire altrimenti perirei. Ho perito, e sinceramente, fa troppo male per riprovarci.
Che l'amore fiabesco sia un'illusione massonica inventata da Disney, questo è ovvio, "ma devo davvero sentirmi così ogni volta che qualcuno dice di amarmi?".
Credo che questa domanda, oltre ad essere di un'ovvietà spiazzante, sia anche una delle più gettonate fra le domande senza alcuna risposta, seconda solo a: “Qual'è il senso della vita?”. La terza in scaletta è "morirò solo?".
Allora,
procedendo razionalmente direi che: alla domanda “Qual'è il senso della vita?”
Io, un senso, del tutto personale, gliel'ho dato.
Cioè,
miliardi di milioni di persone per circa duemila secoli si sono risposti con una farsa, dio. Questo li aiuta, perlomeno gli fornisce la risposta che tanto bramano.
Che poi nella loro risposta ci siano centinaia di dogmi inspiegabili, poco gli importa.
Io sono atea, e per me il senso ultimo della nostra esistenza sta nell'evoluzione. Siamo qui perché l'evoluzione biologica ha portato a noi, quella tecnologica a tutto quello che abbiamo intorno. Ma, un giorno tutto finirà, il mondo imploderà e ciao ciao. Non mi pongo ulteriori domande a riguardo, poiché giudico il restante “senso” della vita puramente soggettivo.
Eccomi quindi giunta al secondo impossibile interrogativo: “ma devo davvero sentirmi così ogni volta che qualcuno dice di amarmi?”.
La risposta è: certamente. Devo, devono, dovete sentirvi tutti così. Perchè? Perché l'amore non basta, servono conoscenza, complicità, comprensione e sacrificio. Ma questi arrivano col tempo, ogni tanto mancano e talvolta non bastano neppure loro. Ma se trovi quella persona che ti fa sperare, solamente, di riuscire a comprenderla, hai fatto BINGO!
FINO ALLA FINE DEI TEMPI. AMEN.

giovedì 15 dicembre 2011

HOWEVER FAR AWAY.

Lontananze,
che come ogni cosa assumono un valore non opinabile, questo perché le traduciamo in numeri, chilometri, passi, miglia, ore. Traduciamo qualsiasi cosa in numeri. L'essenza dei nostri rapporti si limita alla mera misurazione di essi.
“Ci vediamo fra tre ore”- “Ci conosciamo da 10 anni”- “Fra 20 chilometri sono arrivata”-
In queste frasi c'è contenuta l'attesa, la confidenza e la mancanza.
Perché le misuriamo? Perché le rendiamo sterili numeri?
Linguaggio e matematica sono inopinabili, in quanto convenzioni. Ma sono opinioni, giuro.
Quaranta è un numero minuscolo se ad esempio contiamo le cellule di un corpo, un numero notevole se è l'età di una donna single, enorme se è il numero delle persone con le quali sei stata a letto a 20 anni.
Eppure è lo stesso numero, la sua valenza cambia a seconda del contesto, un po' come una “s”.
La “s” tra due vocali è sonora, musica. La “s” geminata è sorda, sassolino.
Convenzioni, noi siamo convenzioni. Pensate. Se non sei in grado di spiegare qualcosa, non la conosci, o non conosci il modo convenzionale per renderla?
Ogni segno, suono che noi produciamo attraverso parola e scrittura diventa una proiezione del nostro pensiero. Noi siamo una convenzione. La lontananza non è un numero, è una condizione.
Per esprimerci meglio dovremmo stare un po' più zitti e guardarci di più, however far away.

venerdì 21 ottobre 2011

Verso Maya.

C'era una volta una ragazza che amava i Beatles e i Rolling stones, odiava Gianni Morandi, ma citava tutto.
Parlava estrinsecando le emozioni interiori attraverso un mondo ricevuto, e ricreato. Per questo amava il cinema. Accettava il tempo esclusivamente come circolare, immaginava molto, empatizzava tutto. Si sentiva diversa, e come un fiume in piena raccontava e citava quelle immagini viste come se fossero la sua vita, senza che nessuno se ne accorgesse. Come se, la difficoltà dell'accettazione per le proprie disgrazie le imponesse il paragone. Ma non c'era nessuno a cui paragonarsi. Allora diveniva di volta in volta una canzone, un film, un quadro, un filosofo. Trascendeva se stessa, per non esser sola, in quell'inferno di carne, ossa e sangue.
Era una persona particolare, difficile da capire. Neanche lei sapeva bene chi fosse. Si scopriva scoprendo gli altri e le loro espressioni artistiche, che poi sono anche civiche e se vogliamo psicologiche.
Il mondo degli altri in qualche modo la riguardava e la descriveva. L'urlo esasperato, allo stesso tempo spaventato e fragile di Munch, era come uno specchio a volte. La volgarità e la misantropia di Bukowski la rincuoravano. La perfezione stilistica e la comunicazione allegorica di Dante non la facevano sentire pazza. Il dolore lancinante de La prima cosa bella di Virzì era per lei catartico ed espiatorio. Le parole di De Andrè musicavano i suoi pensieri. Allora si esprimeva attraverso le uniche cose che gli somigliavano veramente, e si sentiva meno sola.
Avrebbe voluto essere un po' più se stessa, ma era troppo complicato. Tutti hanno bisogno degli altri, ma nel prossimo (inteso come vicino di casa, amico, compagno) lei non ritrovava se stessa.
Si attaccava così visceralmente alle sue passioni, che quelle poi non erano più ostentazione o dimostrazione di un sapere, erano pura estensione dell'essere.
Se tutti fossero come quella ragazza, forse non ci sarebbero più spocchiosi, esseri mitologici e profondamente umani, e forse, non esisterebbe neanche l'arte contemporanea, ad esclusione della pop art.

Lei aveva oltrepassato il limite, aveva squarciato il velo.

mercoledì 12 ottobre 2011

VUOTO.

C'è chi parlava di pessimismo cosmico, chi di natura matrigna, chi di pendoli e appagamento, c'è chi razionalizzava tutto. E' esistito addirittura qualcuno che uccideva dio,qualcuno che lo negava, altri si confessavano a lui. Persone che hanno costruito strutture e sovrastrutture. C'è chi dormiva scrivendo, chi capiva sognando.
Discettare di altri è semplice.
Discettare con gli altri è difficile.
Io preferisco la prima, e ringrazio. Ringrazio chi me l'ha permesso.
Ringrazio il gossip, la tv, lo show della cronaca nera.
Ringrazio la bruttezza dei manuali, troppo ingombranti per poter piacere, dalla dialettica troppo serrata per poterli capire. Io sono pigra, pensare è oneroso, l'hanno fatto in tanti, hanno detto tutto, lo scibile è infinito, ma la mente umana no.
Il progresso ha aumentato la vita, ingrandito i corpi, le case, le strade e le città, ma mignonizzato (neologismo) il cervello. Io ringrazio. Non c'è più sforzo ad esser intelligenti, non c'è più lotta alla conoscenza.
Percepisco il vuoto e un po' mi fa schifo, ma i manuali sono brutti e la gente non li vuole.
Allora mi chiedo, a che serve il macketing, se ha creato il vuoto.

In ordine di “apparizione”: Leopardi, Shopenauer, Hegel. Nietzsche, Feuerbach, Sant'Agostino. Marx. Breton, Freud.



Il vuoto affascina, è ammaliante nel suo non essere. Esso empiricamente non esiste, razionalmente è inafferrabile, ma c'è. E' la nostra ombra, è il tarlo che ci ammonisce di non rinunciare all'opulenza, altrimenti arriverebbe la sua antitesi, lui, il vuoto.

giovedì 16 giugno 2011

Forza centrifuga.

Mi brucia lo stomaco, mi si annebbiano i ricordi.
La testa vola in eremi affollati, montagne scottate dal sole invernale. Attraversa mari dolci e laghi salati.Corre verso fiumi infiniti e sopra stelle ghiacciate.
Se chiudo gli occhi lacrimo, mi sale il reflusso, vomito.
Se mi gratto sanguino.
Se dormo mi sposo.
Se cammino cado.
Il telefono squilla. Sempre. Squilla. Io chiamo solo a vuoto, nessuno mi risponde.
Possiedo solo un cumulo di interrogativi.
Gli eremi sono sempre più affollati e mi scoppia la testa. Le montagne più afose, il mare è tondo e i vortici mi assorbono. Nel lago ci sono gli squali ma Spielberg non c'è. Sulle stelle ho freddo e non ci sono fiori.
Mi brucia lo stomaco, mi vibrano i nervi. Ho un attacco di vertigini. Vomito.
Scendo dalla macchina e non so dove sono. Squilla il telefono, ma io non ho più voce.
Il sole albeggia da ovest. Strano la PFM diceva diversamente.
Mi addormento.
Volo verso eremi solitari, montagne innevate, mari infiniti pieni di spuma salata. Attraverso laghi vulcanici, il fiume inizia e sfocia. Una stella m'illumina.
Mi è tornata la voce, chiamo e mi rispondono. Non lacrimo più. Non sanguino, perchè non ho prurito.
La forza centrifuga mi tiene salda. Sotto di me c'è il vuoto ma la fisica impedisce che ci cada.
Se il mondo dovesse fermarsi precipiterei. Ma non si fermerà, Locke si sbagliava. La catena causa-effetto esiste, il mondo gira, sempre. Io non precipito. Certo la pressione è forte, ma chissà cosa accadrebbe nel nulla.



Il sole come sempre sarà.

sabato 21 maggio 2011

RINNOVARE IL SANGUE FA BENE.

Non sono arrabbiata, neanche un po', proprio per niente. Strano per me.
Sono solo esasperata.
Mi hai esasperato. Ci siamo chiesti, dati e detti tutto.
Io e te siamo stati l'universo, in esso nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
Ci siamo trasformati in tutto. Mi sono resa niente.
Ci manca solo sull'ultima metamorfosi. L'assenza.
Devo non esserci per riprendermi dall'esasperazione. Devo uccidere quel che di te rimane in me, per risorgere. Perchè tu sei in me, e sei me.
Uccidendoti, mi ammazzo.
Sto sanguinando. Sanguino dai polsi, dalla bocca, dagli occhi, dalle dita, dalle gambe. Sanguino in ogni parte dove sei stato, nelle parti che hai guardato, da ogni angolo che hai amato. Sanguino talmente tanto che mi sento mancare. La tua assenza mi fa svenire. Rinnovare il sangue fa bene. Si rinnova eliminando le tossine che t'inquinavano, annichilivano, trasformavano.
Mentre svengo, mi sento meglio. Le tossine sono sul pavimento, ora non m'inquinano più.
Sto svenendo nel mio sangue pieno di tossine.
Io e te siamo stati l'universo, in esso nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
Ci siamo trasformati in tutto. Mi sono resa niente.
Ci manca solo l'ultima metamorfosi. L'assenza.
In essa tornerò me. Arginerò l'esasperazione. Riassaporerò l'odore di un sorriso.
Svengo.

venerdì 20 maggio 2011

Nell'oblio mi sento libera.

Niente ricordi.
Nessuna identità.
Niente volti.
Nessuna abilità.
Niente usi.
Nessun costume.
Solo odori.
Odori conservati di effluvi percepiti.
Niente volti.
Nell'oblio mi sento libera. LIBERA tanto da non poterlo definire a parole, per quanto è vero. Nessuno si concentra mai sulla libertà da se stessi. Tendiamo sempre a ritenerci liberi da qualcuno o qualcosa. Dallo stato, dalle leggi, dai partiti, dal lavoro, da un uomo, da un'ossessione. Non pensiamo mai di liberarci di noi stessi. Senza memoria, sono libera. Libera da me stessa.
Libera dai costumi.
Libera dagli usi.
Libera dalle abilità.
Libera dai volti
Libera dall'identità.
Libera dai ricordi. Libera.
La memoria è un macigno inappropriato e maleducato.
Riaffiora solo quando vuole, e quando vuole lei, guarda caso non è il momento. E' proprio femmina la memoria. Inappropriata e maleducata. Senza di lei sono finalmente libera di essere me.
Nell'oblio mi sento fottutamente libera.
C'è solo un nome che affiora inappropriatamente e maleducatamente. Forse è il mio.
Ma io non posso avere un nome maschile.
Solo un nome non mi abbandona mai, neanche nell'oblio.
Un nome maleducato ed inappropriato, come la memoria. Quel nome è un po' come una donna,
riaffiora quando vuole.
Ora sparisci.

mercoledì 23 marzo 2011

E TI VENGO A CERCARE.

Una volta tanto tempo fa ti cercavo per trovare la mia essenza.
In essa mi perdevo e ritrovavo. Godevo.
Il mio circuito limbico, la parte più antica del nostro cervello, continua a proiettare la tua immagine svanita e svaghita nella mia cornea. Mi toglie il sonno, il ristoro, la pazienza.
Allora vengo da te. Nell'ora più buia della notte. Non esiste solo il tangibile.
Sono nella molla che accompagna il tuo cullarti.
Sono nel torpore che precede l'abbandono.
Sono in un bracciale che protegge le tue vene.
Sono nel pensiero che non puoi lasciar andare.
Mi tolgo il sonno, il ristoro e la pazienza, per venirti a cercare.
Nell'attimo in cui non potrai conservarne il ricordo, ma percepirne solo l'emozione.
Perchè il ricordo muta, evolve, contagia. L'emozione è immane ed immane.

“Questo sentimento popolare, nasce da meccaniche divine.
Un rapimento mistico e sensuale m'imprigiona a te.
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri”.


lunedì 7 marzo 2011

Io, moderna Penelope.

Faccio sempre lo stesso sogno.
La vicenda subisce lievi variazioni ma tutto sommato è sempre la stessa. Se nulla nei sogni è casuale e tutto è il riflesso dei processi inconsci della mente, la mia mente sta parecchio male. Freud avrebbe pane per i suoi denti. Sognare è faticoso in tutte e due le sue accezioni. L'ambivalenza di questo termine mi fa riflettere. Racchiude in se l'ambizione utopica che ognuno cela dentro di se, e l'abbandono più totale alla casualità del nostro pensiero. Affascinante e spaventoso allo stesso tempo. Un po' come me. Il mio sogno è di non fare più lo stesso sogno. Il problema è che questo sogno non nasce dalla fase REM. Quando gli occhi chiusi si muovono e si può anche piangere per immagini immaginate. Il mio sogno non è onirico. Lo costruisco ogni giorno, come un'isterica architetta iperperfezionista. Ogni giorno, gran parte delle mie energie si concentrano nell'impresa di creare un sogno, su misura per me. Ed ogni giorno come una moderna Penelope della psiche lo distruggo, per tornarci il giorno dopo. Combatto proci immaginari con la potenza del mio straniamento dal reale. Peccato che, i proci che combatto sono i miei sprazzi di lucidità.
Mi sto rintanando in un mondo inventato da me per me, per sfuggire ad una normale vita di frustrazioni. Ulisse ti prego torna dal tuo viaggio, tessere i miei sogni mi sta uccidendo.

mercoledì 2 marzo 2011

NON SPARIRE.

Sono tornata a casa. Con lo guardo di chi osserva ma non vede. Non vedo perchè se ci provassi seriamente vedrei un letto vuoto. Il mio letto vuoto. Che svuota anche me. Non mi piace dormire da sola. Non mi piace svegliarmi da sola. Allora, osservo ma non vedo. Non vedo lei accanto a lui. Non vedo il mio sguardo nello specchio. Non vedo le sue braccia nelle sue, in un letto celeste, giallo o forse blu. Il mio di letto è vuoto. Non mi piace svegliarmi da sola.
“Non sparire”, l'ultima frase che mi ha detto mi rimbomba nella testa.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”.
“Non sparire”. Milioni di congetture affiorano nella mia testolina provata dagli eventi.
Da dove non devo sparire? Io sono qui. Ci sono sempre stata.
Quindi: io sono qui. Ciò presuppone che a meno che non sia diventata una super eroina con il superpotere dell'invisibilità, tu mi possa vedere. Tu mi puoi vedere? Vero? Ehi mi vedi? Mi senti? Sono qui.
Oddio non mi vedi, allora ho un superpotere. Figata, l'ho sempre voluto. Figata.
Nell'istante in cui realizzo di avere un superpotere, Gulia mi tocca. “ehi! Cuor ci sei?”.
-Cazzo non ho un superpotere. Sei solo tu a non vedermi.-
“Non sparire”. L'ha detto a voce alta, per realizzare che lo stava dicendo. Ma non lo ha detto a me. Lo ha detto a se. Alle sue note. Notti. Giorni. Ai suoi sogni, sonni. Incubi. Ecco da dove non devo sparire. Io non ho un fottuto super potere. Ora sono ancora più triste.
“Non Sparire arire, ireeeeeeeeeee”. Rimbomba nella testa. In effetti è un po' che sono a dieta, ma non voglio sparire. E va bene che corro senza guardare, per non vedere, ma non voglio sparire. E d'accordo a volte non parlo per non dire troppo, ma non voglio sparire. E mi riempo di risate, corse, momenti e sfuggo, per non essere li quando l'abbracci, ma non voglio sparire.
“Non sparire”. L'ha detto a me, per dirlo a se.
In un eterno presente fatto di presenze.
Domani arriva il futuro. E forse non ci sarò. Sai sono stanca del mio letto vuoto. Sono stanca, di guardare senza vedere. La vedo. Sono stanca dell'eterna presenza, eternamente inappagata. Allora forse, sai, stavolta sparirò. Domani sparirò. Domani chissà quando arriva.
Intanto “non sparire”.

martedì 15 febbraio 2011

Into my arms.

Quella notte diluviava. Le urla del cielo invasero il mio sonno.
Non riuscivo a dormire. mi muovevo nervosamente nel nostro letto di seta rossa.
Lei non c’era.
Era già successo altre volte che non ci fosse al mio risveglio. Ma stavolta sentivo un’insolita solitudine.
Come se, la notte prima mi avesse toccata per l’ultima volta.
Come se, offrendosi in quell’incanto di splendore e sensualità mi stesse dicendo che le nostre note intonate fossero terminate.
Il mio corpo tremava al ritmo incessante della pioggia. Chiamandola, cercandola e desiderandola ancora.
Avvertivo disgusto per quel senso di solitudine frustrante.
Avvertivo malinconia, sola in quella morbida seta rossa. Senza lei, senza il suo profumo, i suoi seni e il suo meraviglioso fiore bagnato di rugiada. Dov'era?

Decisi di vestirmi ed uscire, bagnarmi di pioggia e luna.
Indossai un tubino nero,le calze a rete, regalo di uno dei miei amanti, il mio rossetto rosso fuoco. Nulla più.
La strada mi sembrò così accogliente e fredda, priva di sentimenti, come una puttana. Metre possiedi una puttana. Mentre la calpesti e ti bagni di lei, devi bere.
Volevo bere.
Bere quell’assenzio che aveva reso meravigliose e bollenti le notti nella seta rossa.
Entrai da Hugo.
Suonava “Into my arms” e in quell’istante risentì, vivido, il ricordo di tanti assenzi insieme. Di quello caldo che lei mi gettava sulle labbra. Quello che mi portava via, mi abbandonava all'estasi per la sua immagine.
Bevvi. Sentii il calore scendere nel mio corpo fasciato di nero. Comparve. Lontana dal nostro letto, ma di nuovo statuaria e perfetta. Non fissò le mie labbra.
Bevvi ancora. Il calore saliva sempre più. “Into my arms” suonava. Mi sfiorò con lo sguardo. C’era una donna accanto a me tetra e sublime. Sentivo i suoi occhi sull'onda della mia schiena. Le sue labbra sorseggiavano un biondo nettare. La sentivo e bramavo. Si avvicinò.
Mi fissava un morbido sguardo orientale, non più mio. Uno nuovo, nero ed avvolgente.

sabato 12 febbraio 2011

ESCAMOTAGE.

Ho ricevuto una lettera. L' ho letta come spettatrice indifferente di un flusso di coscienza altrui. Che poi alla fine, è proprio questo il compito della letteratura.
L'ho aperta, mi sono sdraiata, ho acceso la luce, preso le sigarette, steso i piedi. Fondamentale quando si legge è la posizione. Se stai scomodo ti deconcentri, se stai troppo comodo ti addormenti. Bisogna impegnarsi nel trovare la posizione.
Non era indirizzata a me. La lettera era indirizzata a molti. Io non lo conosco neanche questo tizio.
Però c'era qualcosa che mi somigliava e prendeva in quelle parole.
Forse il solito legame empatico che si crea sempre tra scrittore e lettore. Forse similitudine di pensiero. Forse assuefazione alla parola.

“Caro lettore ideale. Ascoltami per un po', se vuoi.”
- Questo cita Calvino. Di solito leggo tutto quello che mi capita davanti agli occhi, ma se nella prima frase, non c'è qualcosa, smetto. Qui c'è Calvino nella prima frase.-
“Sto per affrontare un viaggio non importa verso dove, devo affrontare me stesso.
Sono in un vagone rumoroso, molto rumoroso.
Sono solo. I rumori provengono da chiacchiericci a volta nitidi, a volte lontani. Ma io sono solo.”
-No. Ecco lo sapevo, il solito scritto di formazione. Che palle. Ora si scava dentro, me la mena con le sue turbe più remote, per poi alla fine riscoprirsi migliore. Ma la gente ultimamente sa solo scavarsi dentro e fare flash mob? Fosse interessante almeno quello che hanno dentro, sono sempre le solite, feci. Ma fate la rivoluzione, cazzo.
C'era Calvino però.-
“La gente parla come se fosse qui per sempre. Come se il mondo gli sia sempre appartenuto e sempre gli apparterrà. Tutti troppo concentrati sul proprio io per rendersi conto che in milioni di anni, le altre persone, prima di noi, hanno inventato, costruito, abolito, distrutto. Sono nati e morti, in un arco di tempo assolutamente insignificante per la storia dell'uomo. A meno che, tu non sia stato Freud, Che Guevara, Lenin o Einstein. Uno di quegli immortali insomma, che anche per sentito dire, tutti sanno chi sia. La stragrande maggioranza di noi è inutile per il genere umano, per l'evoluzione. Anch'io e anche questo fottuto viaggio in treno. E' rassicurante sapere però, che la mia tomba si unirà alla stragrande maggioranza delle tombe che quando cammini in un cimitero guardi solo perchè ce l'hai davanti. Mica come quella di Jim Morrison. La gente va a Parigi per la torre Eiffel, il Louvre, le baguette e la tomba di Jim Morrison. Che culo.
Certo, se ci schiantassimo per chissà quale assurdo motivo balzeremo agli onori della cronaca, almeno per un po'. Tipo, macchinista animalista deraglia uccidendo ducentocinque persone per salvare una famiglia di procioni sulle rotaie. Così però, si parlerebbe solo di quello scemo. Non delle duecentocinque persone, fra cui io, morte per un deficiente. Ma se mi salta la testa, e arriva sulla tavola di una felice famigliola, pronta a pranzare, divento un caso.”
-Accendo una sigaretta.-
“Però non è ora di pranzo, e arriverò prima di cena. Sono destinato all'anonimato.
Pensare che volevo fare il giornalista. Informarmi per informare, entrare nelle budella dei fatti per capire e condividere. Condividere, cazzo.
O signore, perchè mi hai fatto comunista.
L'invocazione al signore, dio vostro, non ha senso, essendo io ateo. Ma mi è sempre piaciuto essere enfatico. Infondo volevo fare il giornalista, qualche minchiata bisogna dirla. E poi gli ossimori nascosti sono il meglio che la letteratura ha da offrirci. Sono un fottuto genio, anonimo.
Che una mattina si è svegliato mezzo fatto, dopo parecchi whisky, e, ha capito che per fare quella roba devi lottare e ammazzarti prendendo querele, insulti e mai riconoscimenti. Se non da qualche decina di persone sveglie che capisce la verità.
No, sono troppo pigro e ambizioso. Non voglio salvare il mondo, voglio solo restarci. Anche come testa mozza su un tavolo, ma restarci.
Mi auguro che a questo punto, tu abbia capito lettore ideale.
Che altro non sei che un direttore di giornale, un giornalista, uno scrittore, un proprietario di una casa editrice o un manager. Se non sei nessuno di questi, ho sbagliato indirizzo.
Si ho detto comunista e ateo, ma mica sarete maccartisti. E si, ho citato Calvino e poi sono stato scurrile, l'ho fatto proprio per quei puristi della letteratura che se vedono una citazione, vengono, urlano di piacere...ahhhh siiii, Calvino.
Le vedo nitide quelle troie di biblioteca. I puristi, sono sempre donne.
Vabbè la chiudo. Riassunto. Mi chiamo Davide, ho trenta anni, sono laureato (se vuoi sapere in cosa, chiamami baby). Sono comunista, ateo e anche un po' figlio di puttana. Voglio scrivere. Mi piace scrivere. Tutto. Tranne di sport. Troppi soldi di mezzo, io non so fare i conti e poi divento invidioso. Sono comunista mica perfetto.
Chiamatemi.”

-Vengo.-

venerdì 4 febbraio 2011

Sono rosse come me.

Mi devo comprare un paio di scarpe.
Devo imparare a camminare da sola.
Ne ho visto un paio rosse.
Sono belle, sono rosse.
Devi insegnarmi a camminare da sola.
Andiamo insieme a comprare le mie scarpe. Le sceglierai tu.
Mi piaceva quando volevi insegnarmi a camminare.
Forse è per questo che non ho mai imparato a farlo da sola.

Le scarpe le ho comprate, sono rosse.
Le ho comprate da sola. Sono rosse, sono belle.
Come me.
Sono caduta.
Ma ora so camminare da sola. E’facile.
Un piede avanti all’altro.
Non bisogna mai guardare dietro. Se guardo dietro cado.
Se cado tu non ci sei più.
Ho imparato da sola.


SILLOGISMO.

“A mia moglie piace tanto fare l'amore”.
“Bhè come a tutte le persone normali. Credo.” -Risponde lei sorridendo-
Stesa su pelle nera, ecopelle nera, accanto a lui.
Il termine ecopelle non le era mai piaciuto. Una parola radical chic per dire plastica.
Meglio plastica, decisamente meno radical chic.
Il radical chic non le era mai piaciuto.
Lui non era radical chic e non era di ecopelle.
Lui le piaceva. Sillogismo.
Le piaceva senza sapere chi fosse, da cosa e chi provenisse, del suo passato conosceva solo un “grigio”.
Sapeva che gli piaceva fare l'amore (“come a tutte le persone normali”).
Sillogismo.
Sapeva che si era rotto gli occhiali da vista al concerto del Teatro degli Orrori, amava il Teatro degli Orrori. Come lei. Sillogismo.
Sapeva che
parlava tanto,
diceva poco.
Comunicava molto.
Bastava?
Bastava sapere che l'evoluzione di una, due vite, per il tempo di un pensiero aveva portato ad un divano di pelle, ecopelle, nera.

“La fotografia ti permette di vedere cose che altrimenti non potresti vedere”.
Diceva poco, comunicava molto.
Bastava.
Non conta il percorso pregresso, lo stato attuale -seppur per il tempo di un pensiero- scarnifica il superfluo mostrando l'essenziale.


Il sillogismo è un ragionamento concatenato deduttivo.
Un sillogismo valido non deve necessariamente essere logico. Deduco:
Io amo il sillogismo,
Il sillogismo spesso non è logico.
Io spesso amo il non logico.
Sillogismo.

Strano e inaffidabile.

PRIMITIVO E FONDAMENTALE. CATTIVO E PASSIONALE.

L'uomo è un acrobata.
Danza, corre, cade, osserva, ascolta.
Cammina avanti e indietro.
Spesso si sente in bilico, di rado sicuro.
Il filo che percorriamo si dirama in cromatismi esistenziali. Viaggiamo sul fil rouge.
Banalmente passione. Naturalmente sangue.
Oniricamente tramonto. Stilisticamente abito.
Artisticamente primario. Politicamente egualitario.
Astrologicamente Marte. Letterariamente verista.
Cinematograficamente profondo, adulto, sessuale, tragressivo.
Rimandi e commistioni accolgono il ROSSO PRIMITIVO E FONDAMENTALE COLORE, nella storia dell'uomo, dell'arte e della moda.
Il fil rouge inizia con una concezione antica, egiziana.
Argilla e sangue danno vita all'uomo, il clima rosso e infuocato del deserto la nega. Vita e Morte. Desher e Desheret.
Affascinante e ammaliante nei suoi ossimori. Il ROSSO diviene smarrimento e teologia nei capelli dipinti nel XVI secolo da Tiziano. Tinte che restano nella cornea, tramutandosi nella moda del XXI secolo. Morbidi, lunghi e conturbanti capelli Rosso Tiziano.
Malizia e cattiveria significano, invece, i capelli di Verga. Connotazioni iniziali di un latente razzismo.
L'immagine pittorica e letteraria si fa carne sul red carpet.
Divine, infernali nella loro focosa, irresistibile e sensuale bellezza, sono le donne di Valentino.
Il cromatismo cambia. Il rosso diviene sempre più porpora e donna.
Ingredienti 100% magenta, 100% giallo, 10% nero.
Dagli anni 60' in poi la seduzione cambia colore.
Nasce per la moda, per lo sguardo, per le atmostere il più vermiglio dei rossi.
Il ROSSO VALENTINO.
Abiti che creano suggestioni e infiniti rimandi nella lunga storia percorsa dal fil rouge.
Tutto ciò che il ROSSO presuppone vive nello strascico di un vestito. Avvolge la donna di passionalità, femminilità, sensualità, coraggio e carisma.
Traballiamo o ancheggiamo sinuosamente sappiamo che il ROSSO è colore PRIMITIVO e FONDAMENTALE, CATTIVO, PASSIONALE e INFINITO.
Il fil rouge nasce ma non finisce....

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Memoria temporum acta.


Un uomo è solo nel letto.
Si sveglia, sono le 5 del mattino.
Il vuoto tra le sue lenzuola è la condizione imprenscindibile della sua vita.
Si gira dall'altro lato e dorme.

Ore 8.00, la sveglia suona. La morsa della solitudine si è nascosta come la luna.
Si alza. Accende il computer, va in bagno, prepara la colazione, naviga un po' nei pensieri e sul pc. Suona, mentre ascolta qualcosa.
Compie azione meccaniche. Senz'anima. Eclissare i pensieri.
Si veste ed esce.
Esce per correre, esce per stare solo. Per stare solo e stare meglio, per non pensare.

Allora corre.
C'è solo il corpo. Scompare la politica, l'amore, i sogni, le delusioni e l'inettitudine.
C'è solo il respiro. I piedi, la terra e una musica nelle orecchie.
Ad un tratto, neanche lo sforzo e la fatica liberano più. Ad un tratto, la catarsi si eclissa.
La luna è tornata. Il cuore si stringe. La solitudine dell'animo ricompare.
Accelera.
Deve correre, sudare, soffrire. Uscire da se stesso, entrare in contatto con tutto ciò che è fuori dal suo io. Con il mondo, perché esso è denso e pieno.
Pieno di lui e delle sue inquietudini.
Non può fermarsi, se la polvere cesserà di alzarsi sotto i suoi piedi lui conoscerà la natura di questo disagio. Non vuole saperlo. Deve scacciare i pensieri. Canta:
“Ti prego ascoltami
ascoltami bene almeno una volta
solo poche parole...”


Vorrebbe piangere ma non ci riesce. La razionalità blocca tutto.
Blocca anche i piedi, è fermo. La musica suona sorda.
La solitudine non si combatte con accanto chiunque, si è soli sempre.
Si è meno soli, durante l'orgasmo.
Si è meno soli quando la memoria di odore ti invade.
Quando sei invaso.
Quando cammini, da lontano, con lo stesso passo.
Quando la mano nella tua ti fa sudare.
Quando non hai paura di mostrarti.
Quando la solitudine non è più una condizione, ma una decisione.

In quel letto c'era una donna con lui quella notte. Eppure quella donna non era passi, odori, litigate e orgasmo. Quella donna era voglia di non sentirsi solo.
Palliativo inconsapevole di una condizione imprescindibile.